La rivoluzione del Congo: «Ora le donne combattono per le pari opportunità»
Nel paese africano gli interessi ormai parlano cinese, indiano e anche libanese. L’Europa è sparita e l’Italia spera di ritagliarsi uno spazio col Piano Mattei.
Ève Bazaiba Masudi arriva puntualissima al meeting sul Congo, in programma presso la sede del Parlamento europeo a Roma, nell’ambito dell quindicesima edizione del Festival della diplomazia, che quest’anno declina il potere (looking for cratos, il titolo della rassegna) nelle sue molteplici espressioni, anche in Africa, in una visione geopolitica.
Nel suo abito tradizionale si muove serena nell’androne, nonostante il traffico romano, nonostante 12 ore di volo sulle spalle da Kinshasa a Roma, via Addis Abeba, nonostante le preoccupazioni per il suo governo che appena domani si riunirà in seduta plenaria lontano dalla capitale, nonostante debba subito dopo ripartire per la Colombia, invitata di rango al vertice internazionale sulla biodiversità, minacciata dal cambiamento climatico nei vari continenti.
Ève è sulla soglia dei sessant’anni, ha la fisicità prorompente, tipica di molte donne africane, che esprimono una naturale eleganza, neanche una linea di trucco, lo sguardo dritto, un sorriso che lo illumina, la fede nel cambiamento possibile.
Lei è la ministra dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile della Repubblica Democratica del Congo, già vice-premier e senatrice dal 2007, in un governo guidato oggi per la prima volta da una donna, Judith Suminwa, che ha chiamato altre donne a ricoprire incarichi di responsabilità dalla difesa all’interno.
È avvocata, già attivista per i diritti umani, di fede musulmana, l’affianca la sua stretta collaboratrice cristiana. Ha viaggiato per più di ottomila chilometri perché crede nei valori dell’incontro, dello scambio, della cooperazione di fronte alle grandi sfide dell’umanità dalla pace allo sviluppo, dal futuro dei giovani alle migrazioni, mantenendo in primo piano i diritti fondamentali dei popoli anche al tempo dell’intelligenza artificiale.
L’Africa parla cinese
Nel suo paese, gli interessi oramai parlano in lingua cinese, indiana, portoghese, anche libanese, c’è sempre meno Europa: con il Piano Mattei potrebbe esserci più spazio per l’Italia, che nei momenti difficili è stata molto vicina alla Rd Congo, in particolare da ultimo, nel 2019 con significativi contributi organizzativi ed economici dinanzi alle emergenze ambientali e umanitarie, mentre bruciavano migliaia di ettari di foreste nel bacino del fiume Congo e nel Kivu, al confine con il Rwanda, dove non cessa la guerra a bassa intensità, che provoca migliaia di morti ogni anni, violenze inaudite sulla popolazione, soprattutto femminile, con la piaga dei bambini soldato arruolati con la forza, e milioni di profughi.
«Il mio paese è tra i più ricchi del mondo, ma il mio popolo è tra i più poveri del mondo», aveva dichiarato il medico congolese Denis Mokwege, ricevendo ad Oslo il Premio Nobel per la Pace nel 2018. Le donne finalmente in ruoli di potere potranno marcare la svolta? Il nuovo governo, guidato da Suminwa si è insediato da appena quattro mesi, ma il segnale di per sé è forte. Ève fa un cenno affermativo, convinta.
«Nella nostra società le donne sono state sempre confinate in ruoli subordinati. Nelle prime elezioni libere del 1960 non potevano neanche votare. All’interno della famiglia erano alla merce’’ degli uomini, che potevano picchiarle, stuprarle, senza che avessero la possibilità di denunciare la violenza, perché avrebbero nuociuto alla famiglia. Non potevano ricoprire ruoli pubblici, non potevano arruolarsi.
Fino a tempi recenti, le donne che si arruolavano nell’esercito erano sempre di un gradino al di sotto degli uomini e non potevano sposarsi, diventando le donne di tutti. Poi è stato consentito loro di sposarsi, si creava però una strana condizione: se il marito ricopriva un grado più basso veniva subito promosso. Le donne in pratica venivano sposate per facilitare la carriera degli uomini. Oggi abbiamo tante professioniste nei vari campi ed anche donne-generali. Negli articoli 14 e 15 della nostra Costituzione è proclamata la parità di genere e stiamo armonizzando la normativa nazionale sui parametri internazionali. Siamo un gruppo molto unito, stiamo cercando di fare del nostro meglio».
Le chiedo cosa voglia dire sviluppo sostenibile nel suo paese, un paese grande quanto otto Italie messe insieme, dove il reddito medio pro-capite non arriva neanche a settecento euro l’anno, mentre si contano ricchezze incommensurabili, con un sottosuolo ricco di minerali preziosi, tra cui il coltan strategico per le società informatiche, mentre il suolo è ricoperto di foreste, seconde solo a quelle amazzoniche e bacini idrici di proporzioni sconfinate.
Ève spiega che il concetto oramai è universale. Nel suo paese sono ben consapevoli del valore delle foreste, che consentono di ridurre la presenza di CO2 nell’atmosfera e difendono la biodiversità. Si sofferma sui primati che le popolano, oltre ai gorilla, il Bonobo o scimpanzè pigmeo, una sorta di ominide intelligente quasi come un uomo, (l’alternativa ai robot, offerta dalla natura?) e ai pesci ciechi delle caverne sotterranee che vengono studiati per favorire la ricerca sulla cecità. Sono animali sacri per le 450 tribù del Congo, popolazioni che vorrebbero vivere in pace nel proprio paese.
Lo sviluppo sostenibile
Sviluppo per lei significa scuole, università, se ne contano 27 con il progetto di aumentarle e dovranno essere aumentati gli ospedali, che al momento sono gestiti come gli istituti di formazione soprattutto dalle chiese, in particolare quella cattolica. Altri progetti riguardano le strade, assolutamente insufficienti, le ferrovie e le reti di telecomunicazioni, in particolare quelle informatiche, ancora troppo deboli e costose. Sfida primaria però era e resta la sicurezza in un paese dove l’età media è sui 17 anni e la popolazione di 90 milioni di abitanti cresce a ritmi sostenuti.
Le chiedo se non sia azzardato immaginare già il prossimo anno, l’anno del giubileo a Roma, la possibilità di un incontro della premier Suminwa con la premier italiana Meloni, con i buoni auspici di Papa Francesco, già che il 40 per cento dei congolesi è di fede cattolica. Sorride.
Potrebbe essere un percorso da costruire e sarebbe anche l’opportunità per trovare soluzioni diverse e più umane per le migrazioni: noi abbiamo la terra, le risorse naturali e umane voi la tecnologia. Perché non investire in una cooperazione diversa, dove la ricchezza sia divisa meglio? È un’ottima domanda, confidiamo nella risposta.
Pubblicato su www.editorialedomani.it 23 ottobre 2024