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L’Europa faccia sentire la voce della tolleranza invece dei muri di Trump

Nel giorno che segna «l’avvento» della seconda era Trump, anzi Trump/Musk, si impongono riflessioni pragmatiche sul tempo che viviamo e che ci aspetta.

In un suo libro, Franco Cardini, illustre medievalista italiano, parla dell’ Invenzione dell’Occidente, titolo provocatorio di una riflessione, fatta venti anni fa. In quel testo, utilmente ritrovato, l’Europa esprimeva le radici della cultura occidentale in un rapporto imprescindibile con la modernità, incline alla convinzione di una superiorità morale, che rende universali i suoi valori, tuttavia tra le culture, la sola (quella occidentale europea) che non proponga se stessa come centrale, normativa, unica, che non pretende di collocarsi al centro del mondo… che declina il concetto di tolleranza e l’antropologia culturale, come scienza dell’altro.

Nel giorno che segna «l’avvento» della seconda era Trump, anzi Trump/Musk, in una coreografia che cerca l’effetto oltre il senso di una cerimonia, si impongono riflessioni pragmatiche sul tempo che viviamo e che ci aspetta, guardando al nostro bacino culturale per ricominciare da quel che resta. A Washington, l’Europa non è stata invitata. La nuova amministrazione americana, che non declina il concetto di tolleranza, che ignora il senso dell’antropologia culturale, come scienza dell’altro, che esprime la deregulation nel campo della modernità, sottratta all’Europa, che si propone centrale e unica nella pretesa di porsi come perno di un mondo complesso, dove la globalizzazione ha partorito invece la multipolarità, può rappresentare l’occasione per un sussulto responsabile, nella presa d’atto atto di scelte non più rinviabili a cominciare proprio dall’Europa.

Timothy Snyder, professore all’università di Yale, specializzato nella storia moderna europea, nel suo saggio sulla tirannia, parla dell’Anticipatory Obedience come di una tragedia politica e si riferiva ai prodromi del nazismo. Alla corte di Trump/Musk, in via anticipata, si sono prostrati i miliardari del tech, l’oligarchia della Silicon Valley, denunciata come una pesante ipoteca sul futuro dal presidente Biden nel suo discorso di commiato, allarmati dal potere che si accentrerà nelle mani del competitor Elon Musk, accreditato di un ufficio nientemeno che alla Casa Bianca; sono stati invitati, oltre agli ex-presidenti americani, (rileva l’assenza volontaria della ex-first lady Michelle Obama) una decina tra capi di stato e di governo, noti per politiche iper-conservatrici, infine, i leader dell’estrema destra europea. Trump non si è preoccupato di esibire da subito le carte che intende giocare: rapporti bilaterali nella logica del beto be (business-to-business) mettendo sul banco il primatodel suo potere, unito al controllo delle big tech con Musk in testa, in un capitalismo selvaggio, che ignora le istituzioni sovranazionali dall’Europa alle Nazioni Unite. La questione si pone: è il tempo della svolta per l’Unione Europea. Il suo mercato unico, il più grande blocco commerciale del mondo, è chiamato a diventare un blocco politico.

È auspicabile che il mancato invito ad Ursula von der Leyen, che comunque si è sottratta all’anticipatory obedience, riesca a spingere la presidente della Commissione Europea a prendere in mano quei dossier, lasciati per troppo tempo nel cassetto. Dossier indispensabili per consegnare finalmente all’Europa il ruolo che le manca. A cominciare dal superamento della regola dell’unanimità che blocca le scelte, rivitalizzando intanto la cooperazione rafforzata sancita dai trattati, per arrivare alla creazione di un esercito europeo con una capacità di deterrenza a fronte di spese altissime e sterili deliberate dai governi nazionali; a seguire, la presa in carico dei dossier sulla fiscalità, il debito comune, ecc. Altrettanto indifferibile diventa la voce europea nelle politiche per il Mediterraneo, con un progetto credibile e funzionale sulle migrazioni (declinare il concetto di tolleranza e l’antropologia culturale come scienza dell’altro, valori universali che hanno segnato la nascita dell’Europa) e con lo sguardo attento anche alle rotte nordiche, per affermare ad ogni costo il proprio ruolo nell’obiettivo della pace: sul fronte Ucraino e nel ritrovato rispetto della giustizia universale in Medioriente, a partire dalla martoriata Gaza. Servono, in sostanza, cambiamenti radicali - come ci insegna la storia - che determinano il passaggio da un periodo storico al successivo. Piaccia o non piaccia. L’Europa alla svolta può appoggiarsi alla sua cultura, costruita su una storia millenaria e sul valore della cittadinanza europea che sostiene la democrazia a dispetto delle spinte estremiste: le minacce possono solo che aumentare.

D’altra parte, il gap tecnologico che si sconta per colpevole miopia, va ammesso e si può affrontare, intanto, sulla base dei progetti a disposizione. Progetti, tra l’altro, che portano firme italiane (Draghi, Letta). In questo momento di fragilità, la riflessione tocca anche ai singoli Stati della famiglia europea, pur nelle sensibilità diverse e nelle storie diverse vissute da ciascuno. In Italia, mentre la premier Meloni è volata a Washington, decisa a costruire un rapporto privilegiato con l’amministrazione Trump/Musk, nella logica che dicevamo: be to be, fondata sul primato del potere americano, cominciano per esempio ad emergere voci, ancora timide, che puntano tuttavia alla coesione sociale, ampiamente disattesa, e ad una partecipazione che torni ad essere dal basso. Il riferimento, da ultimo, è ai cattolici democratici riuniti sabato a Milano, dove sono state raccontate le esperienze del Nord (non ancora del Sud), in una giornata intera di discussioni sulla difesa di valori e diritti, tuttavia, arricchite dal pragmatismo.

Si percepiva una tensione, che può diventare contributo corale, senza inutili steccati geografici, dove contano le risposte da dare ai cittadini, i cui bisogni sono restati in secondo piano. Prioritario fra tutti, il diritto alla salute. Il caso ha voluto, singolare, che nelle stesse ore di Milano, corpi intermedi e associazioni riuniti al Sud, a Sala Consilina, vicino Salerno, celebrassero la stessa persona, Tina Anselmi, l’artefice della svolta nella sanità italiana. Era il 1978 e il numero della legge era l’833. In quella legge, voluta da Tina Anselmi allora ministro della sanità, si affermava il principio dell’universalità e dell’uniformità delle prestazioni sanitarie, previsto dalla nostra Costituzione all’art.32. Ovvero porte aperte alla salute per ciascuna persona, che si trovasse sul territorio italiano. Il modello è stato considerato il migliore del mondo.

Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno 20 gennaio 2025

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/editoriali/1632778/leuropa-faccia-sentire-la-voce-della-tolleranza-invece-dei-muri-di-trump.html

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