Ai nostri giorni, impotenti, ci tocca registrare la distopia che configura la libertà dell’uomo contrapposta ai neo-miti della forza e del doppio standard, riferito al potere e ai poteri che minacciano le democrazie
«C’è bisogno di caos nell’anima per partorire una stella danzante». La frase di Nietzsche suona armoniosa e libera nella lettura, immaginando la bellezza della creatività che nasce dal tormento e dalla passione verso un mondo nuovo. Eppure, il filosofo tedesco l’aveva scritta nell’insofferenza del passato e nel nichilismo appunto di un presente che negava la forza della verità alla ricerca di un superuomo, senza certezze filosofiche o religiose, che traghettasse la società umana verso il futuro. Singolare, che di questi tempi il pensiero corra a lui, teorico dell’oblio contro la memoria, strumentalizzato dal nazismo proprio per la filosofia che portava.
Ai nostri giorni, impotenti, ci tocca registrare la distopia che configura la libertà dell’uomo contrapposta ai neo-miti della forza e del doppio standard, riferito al potere e ai poteri che minacciano le democrazie. Quasi che l’una, comunque conquistata come valore nel percorso accidentato dell’umanità, si debba arenare nel disordine che ci circonda, in un’accelerazione verso un futuro minaccioso e incontrollabile. Curioso anche che la riflessione sia scaturita casualmente dalla lettura di uno di quei bigliettini che si accompagnano ai «Baci», a riprova che nel consumismo dilagante si possa vendere qualsiasi cosa.
I problemi però sono dinanzi a noi e con buona pace di Nietzsche vanno affrontati, considerato anche che sembra mancare la responsabilità di mettere in fila le priorità sia a livello nazionale, sia europeo per uscire da una crisi che si aggrava di giorno in giorno. Cominciamo dai treni. Il giorno nero delle ferrovie italiane, vissuto da centinaia di migliaia di passeggeri, arriva dopo una lunga scia di disagi per i cantieri in corso, di guasti, di incidenti, di scioperi e pone, appunto, una questione di responsabilità. Le opposizioni chiedono le dimissioni del ministro Salvini, difeso solo dalla sua Lega, tra l’altro con una linea debole che invoca soldi, scaricando le colpe su altri, ma concretamente dove e come dovranno essere valutate le scelte verso soluzioni possibili? Nei primi due anni del governo Meloni, con il beneficio delle risorse considerevoli del Pnrr, il dicastero delle infrastrutture e dei trasporti non ha brillato. Abbiamo scontato la retorica del ponte sullo stretto, in un progetto vecchio e considerato tecnicamente a rischio, poco di altro. La Presidente del Consiglio, nel sua conferenza di inizio anno ha escluso la prospettiva di rimpasti, auspicata dallo stesso Salvini, pronto a ricandidarsi alla guida del ministero dell’Interno, nelle corde del populismo che gli è congeniale, ma la situazione non richiederebbe un tavolo di governo per rispondere alle legittime aspettative dei cittadini? Non andrebbe riconsiderata anche la guida del comparto delle ferrovie dello Stato, una delle più importanti partecipate nazionali, affidata al direttore di un’associazione di albergatori senza esperienza nei trasporti, ma vicino a Fratelli d’Italia? E non servirebbe una regia al più alto livello per l’ex Ilva di Taranto, il polo siderurgico nato sessant’anni fa per rilanciare il Sud, diventato nella sua fase di espansione il più grande d’Europa, declassato poi a mina ambientale e scivolato in un annoso tragico pasticcio sempre più oscuro nel labirinto di partecipazioni e di gestioni pubblico/private, di seguito straordinarie, dove si è arrivati a contrapporre il diritto alla salute a quello del lavoro, con debiti rilevanti, la produzione al minimo e tre mila lavoratori in cassa integrazione? Ai commissari in carica, nominati dal ministro Urso, di nuovo alla ricerca di un azionista privato, come già dieci anni fa, sono pervenute 15 manifestazioni d’interesse, di cui 10 vincolanti e solo 3 per l’intero gruppo. I tre colossi sono azeri, indiani e americani. Gli investitori italiani rimarrebbero l’alternativa «spezzatino», pare esclusa dalle linee guida del governo, con i termini di presentazione delle offerte che però restano aperti. Serve il tempo per valutare. Ma in questo tempo, già superata la scelta di riqualificare invece gli impianti con il ricorso ai fondi del Pnrr che avrebbero mantenuto in casa il polo siderurgico di Taranto, non sarebbe una garanzia minima, ordinaria nel nome dei cittadini, chiedere che la questione entri tra le priorità del governo, chiamato a difendere la sostenibilità dell’ex-Ilva, fin qui mancata, qualunque sia il nuovo assetto?
Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 13 gennaio 2025