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L’ascesa di Friedrich Merz, un avvocato tedesco per rilanciare l’Europa.

Dopo le elezioni americane, anche in quelle tedesche si annuncia la vittoria di un milionario alla guida del Paese. Ma le similitudini con Donald Trump cominciano e finiscono qui. Non si tratta di un imprenditore che usa la politica, né di un sovranista che strattona il mondo. Friedrich Merz, cristianodemocratico cattolico, è il conservatore europeista che potrebbe restituire speranza all’Europa e centralità alla Germania. Chi scrive l’aveva conosciuto a Berlino nei primi mesi del 2000, venticinque anni fa, nella bufera scatenata dallo Spendenaffäre, lo scandalo sulle donazioni alla Cdu e sui relativi fondi neri, che avrebbe travolto il padre della riunificazione tedesca Helmut Kohl.

Lo statista non aveva voluto rivelare il nome dei donatori che avevano finanziato il suo partito, assumendosi la responsabilità politica degli errori commessi e senza batter ciglio si era fatto da parte, tornando nella sua modesta casa sul Reno. Poco più tardi, sarebbe uscito di scena anche il suo più stretto collaboratore, l’uomo del disegno della nuova Germania, Wolfgang Schäuble, allora presidente del gruppo Cdu-Csu al Bundestag, il parlamento tedesco, nonché presidente del partito. Incarichi, che sarebbero stati ricoperti rispettivamente da Angela Merkel e da Friedrich Merz, l’unico cui Schäuble dava del tu. Merz era asciutto, altissimo, due centimetri sotto i due metri, dal tratto cortese eppure distaccato, quasi algido. Nonostante il suo carattere spigoloso, era considerato l’uomo del destino. A chi, se non a lui, il compito di rifondare la Dc tedesca che stava andando in pezzi?

Invece la Merkel, all’epoca pressoché sconosciuta, nel congresso federale del 2002, un congresso esaltato dal contrasto sull’eredità di Kohl, gli soffia la leadership del partito e tre anni dopo sarà cancelliera. Merz non commenta, si nega alle interviste, non costruisce vendette. Angela, che lo considera il rivale più temibile, che continuerà ad emarginare in ogni occasione, crea però le condizioni per il suo successo professionale. È una sorta di compensazione involontaria. Friedrich costruisce con tenacia una carriera di avvocato d’affari, si fa apprezzare anche fuori dei confini tedeschi: diventa un uomo ricchissimo. Finita l’era Merkel, chiusa la sbiadita parentesi socialdemocratica di Scholz, ecco l’inevitabile (unvermeidlich) ritorno, l’aggettivo scelto con cura nel titolo della biografia di Merz. Non sembra di stare al cinema?

Ma i tedeschi non rischiano affatto di diventare romantici in un momento politico, che crea angoscia: sono pragmatici. Chiedono certezze economiche, sicurezza e una guida autorevole che li riporti al centro dell’Europa per restituirli ad una posizione centrale anche nella politica globale. Merz sintetizza: siamo un Paese troppo grande per l’Europa, ma troppo piccolo per il mondo e propone più investimenti, più competitività, meno bonus, con scelte fiscali semplificate anche nella prospettiva europea. L’elettorato è stato bombardato da una propaganda , che spudoratamente ha abusato degli strumenti informatici, nella complicità della destra americana dell’attuale amministrazione Trump, con investimenti per centinaia di migliaia di dollari mirati alla denigrazione dei concorrenti e all’enfatizzazione dell’alternativa neonazista. I più però non sono disposti a riannodare il nastro della storia. Il nazismo era e resta, per la maggioranza dei tedeschi, la vergogna nazionale. La stagnazione economica, che dura da due anni con radici al tempo della Merkel e le spinte populiste che hanno demonizzato gli immigrati, facendone il bersaglio del malcontento, hanno magari intaccato i principi solidaristici alla base della cultura tedesca del dopoguerra, tuttavia lo spirito e l’essenza identitaria di un popolo, capace di lasciarsi alle spalle le sue macerie, resistono.

La Germania vuole proporsi come quel grande Paese competitivo, probabilmente non ancora pienamente unitario dopo l’unificazione, rigido nelle sue contraddizioni, ma solido nei suoi principi. Il malessere dell’est, cavalcato dai neonazisti, non dovrebbe ancora avere la forza del contagio. (Il condizionale è d’obbligo in un’analisi scritta al buio dei risultati elettorali, noti invece al momento della lettura). Il cancelliere inpectore Merz non avrà tuttavia vita facile sia sul piano interno, sia su quello internazionale. La sua natura elitaria e tenace – è il brillante avvocato imbevuto di cultura liberale francese e americana che ha giocato da solo e che ha saputo attendere 15 anni – dovrà misurarsi infatti sul terreno delle alleanze, dunque sui costi della politica. Ha spostato il suo partito a destra più di quanto non era mai accaduto, incontra il favore dell’establishment tedesco, del mondo economico e di quello finanziario, ha aperto un credito di fiducia con l’elettorato popolare meno giovane e conservatore, tuttavia, esclusa tassativamente l’alternativa con i neonazisti di Afd, proprio con il campo progressista dovrà condividere il governo. Un rischio, ma anche un’opportunità, comunque insolita, in questo tempo di polarizzazioni. Sulla scena internazionale si affaccia dunque un protagonista inconsueto, competente e riservato, che si pone sul lato opposto rispetto all’attuale aggressività imperiale americana, così come di quella russa e perfino cinese, a proposito della quale, tra l’altro, Merz considera la Germania troppo sbilanciata nel suo export commerciale. È un professionista che conosce e apprezza i mercati emergenti, ma è pronto a difendere lo spazio europeo, con una politica più convinta di riforme, investimenti e sicurezza. Il suo hobby è mettersi alla guida di piccoli aerei, guardando il mondo dall’alto, visione che gli è propria, considerati i suoi circa due metri di altezza. Sarà l’avvocato che aspetta l’Europa per pilotare un nuovo corso? La Merkel diceva wirshaffen das(ce la possiamo fare) pensando all’inclusione degli immigrati, purtroppo oggi alla periferia della storia, Merz che non le somiglia affatto, nella sua dialettica fluente in inglese e francese potrebbe riuscire a tessere il dialogo che manca.

Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 24 febbraio 2025

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