firma

IL MIO TEMPO

Devo moltissimo alla famiglia, agli anni della formazione, alla mia terra. I miei genitori sono stati un esempio. Gente del sud, ricchi di valori, non di pregiudizi.

Mio padre, uno sportivo, già combattente, poi avvocato nella pubblica amministrazione, mi ha insegnato l’importanza della lealtà e il rispetto per gli altri. Aveva il dono dell’empatia e tanto coraggio. Mia madre, farmacista e insegnante, si era guadagnata la laurea da orfana e ha continuato a conquistarsi ogni cosa con grande impegno per tutta la vita. Al suo giudizio, faccio riferimento tuttora. Un fratello, che ho amato profondamente.

Ho avuto un’infanzia serena, vivace, anche birbante. Poi tante e buone letture, spesso in biblioteca, molto sport, le corse in motocicletta, una "dune buggy", costruita con gli amici più grandi in officina, il pianoforte, la voglia di teatro e i primi tacchi. Collaboravo alle iniziative culturali del liceo di Potenza Q. Orazio Flacco e ai giornali locali: “Il Nuovo Corso, Il Corriere, la Gazzetta del Mezzogiorno”. Della mia Lucania ho la nostalgia dei colori intensi, dei rapporti semplici, del volo del falco. Ho cominciato a partire appena adolescente e sono andata via che avevo  18 anni.

Nel periodo dell’università a Roma ho vissuto nei collegi delle suore per “le studentesse del sud”. Ne ho cambiati tre, allergica agli orari e ai tavoli delle mense, ma non usava allora l’appartamento. Poi ho conosciuto una persona speciale, M. Maria Teresa Alberti della Compagnia di Maria Nostra Signora, testimone di una fede limpida, amica di lunghe chiacchierate a tarda sera, che non mi ha fatto mancare la sua ferma dolcezza, fino agli ultimi giorni della sua vita.

Sono stati comunque anni avidi: dormivo pochissimo e vivevo di mille curiosità. Frequentavo mostre, teatri, conferenze, non mi occupavo invece di politica, benché il caso Moro e i 55 giorni del suo sequestro, in quell’atmosfera di piombo, con i comunicati numerati delle BR e le lettere scritte di pugno dallo statista, nell’insostenibile inerzia dei poteri, mi abbiano segnato profondamente, fino ed oltre il tragico epilogo del 9 maggio del 1978. L’anno successivo ho cominciato a collaborare con la Rai.

Mi ero appena laureata in Giurisprudenza con 110 e lode e con una tesi di forte attualità: “Il Diritto all’informazione e i mezzi di diffusione radiotelevisivi, in Italia e all’estero” ovvero dal monopolio pubblico delle emissioni radiotelevisive all’avvento delle Radio prima e delle Tv private poi, nel confronto comparato con le legislazioni europee. Ero a Roma e cercavo lavoro. Fui chiamata di corsa dalla sede regionale di Potenza, c’era il premio letterario Basilicata e si era creato un problema. Me la sentivo di intervistare i finalisti, di presentare la manifestazione e di preparare uno speciale? Quando? Entro 48 ore. Chiesi che mi facessero trovare a Potenza i libri delle sezioni in concorso e le schede degli autori. Sarei partita subito. Passai la notte a casa a leggere e a prendere appunti. Avevo appuntamento con la troupe al mattino presto, dovevo raggiungere Matera con Mario Luzi, il grande poeta.
E’ stata un’emozione straordinaria visitare i Sassi con lui: ci siamo inoltrati tra i vicoli, sulle scale, fino al belvedere, un mix di poesia e di cavi tv. Un’emozione, che resta viva nella mia memoria perché è stata la mia prima intervista televisiva e con quale personaggio! e in quale luogo! la mia bellissima città natale, dove non ero mai vissuta e dunque che conoscevo appena. Luzi fermò quell’incontro in una poesia struggente, che mi avrebbe inviato molti anni più tardi. La giornata proseguì con Alighiero Chiusano e con Leonardo Cuoco. Poesia, storia ed economia, in sequenza. Con l’adrenalina a mille, passai al trucco e al parrucco, quindi il palco del premio, di quell’ottava edizione del 1979 per due ore filate. Non ce la feci a cenare quella sera, né feci colazione l’indomani, ma sveglia all’ora di pranzo mangiai per due. Da quel “tour de force" nacque uno speciale tv di un’ora, il mio primo lavoro per la Rai. Sarei rimasta precaria fino al 1987, più di otto anni.

E’ stato positivo però quel precariato, perché ho fatto molti mestieri. I miei erano contrari, volevano che facessi l’avvocato o, a scelta, la farmacista. Che mettessi su casa e che avessi dei figli. Per un periodo ho lavorato in uno studio come procuratore legale, dimostrando loro che potevo farlo, ma non mi interessava. La farmacia era oltre le mie possibilità. Il rinnovo incerto dei contratti mi ha spinto poi verso altri lavori e ho continuato a studiare. Mi ero iscritta a Scienze Politiche e ho seguito un corso in Scienze Economiche alla Sapienza. Collaboravo già a pubblicazioni economiche: “Lavoro e Informazione” di Gino Giugni, “Piccola industria” edita dalla FederLazio, “Specchio Economico”, “Espansione”. Ebbi contratti di collaborazione anche all’agenzia Ansa, redazione economico-sindacale, esteri e Dea (il centro documentazione e ricerche dell’agenzia) e poi alla vecchia SIP, diventata Telecom, dove ho potuto partecipare al progetto della prima edizione intranet d’informazione in Italia nel campo delle telecomunicazioni. Eravamo sulla soglia degli anni ’80 e io avevo 25 anni. Il grande salto verso la professione stava maturando.

Non avendo “entrature” familiari o politiche nel mondo del giornalismo, che avevo deciso sarebbe stato il mio, dovevo puntare su un ambito specialistico e poco affollato. Continuai a scrivere di economia, arrivando ad occuparmi di informazione tributaria. Quando nel 1982, il quotidiano economico “Il Globo” tornò in edicola con la direzione di Michele Tito, ebbi il mio contratto da praticante. Sede prestigiosa all’Ara Coeli, un progetto ambizioso, nuove tecnologie, grandi professionisti, alle spalle una cordata Eni. Ero entusiasta, la Tv sembrava accantonata. In quel nuovo giornale c’erano solo spazi da riempire ed era il primo quotidiano in Italia video-impaginato e teletrasmesso. Fu un’esperienza h24, ricca di stimoli e di amicizie, con le giornate che finivano all’alba sui prati di Massenzio nell’indimenticabile estate di Nicolini. Ma la vita de “Il Globo”, che già era e risorto più volte in passato, non sarebbe arrivata ai quindici mesi: me ne mancavano poco più di tre per completare il praticantato e dunque fare l’esame da professionista. Venne in mio soccorso il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Peppino Giacovazzo. Avrei potuto completare i diciotto mesi nel suo giornale, però da lontano: la mia presenza in sede non sarebbe passata inosservata e rischiava di provocare problemi: ero lì per soffiare il posto a qualcuno? Il direttore era stato chiaro: ok al praticantato, esclusa l’assunzione.
Arrivai all’esame, superai gli scritti, appena prima degli orali però arrivò un telegramma, la mia ammissione era sospesa a causa di una denuncia: dall’Ordine di Bari mi accusavano di falso. Le polemiche, dunque, erano montate benché fossi rimasta lontano, limitando anche la mia frequenza alla sede di Roma. Cosa dovevo/potevo fare?! Rischiavo di rimanere fuori per sempre, dopo essere arrivata finalmente sulla soglia della professione. Mi precipitai in Puglia per incontrare il presidente dell’Ordine regionale. Perché si accaniva contro una giovane collega? Avevo regolarmente lavorato e firmato gli articoli che erano stati pubblicati, mi affacciavo nella redazione romana del giornale, un Direttore certificava il mio impegno, si trattava solo di tre mesi… Fu un incontro ruvido, ma efficace, la denuncia venne ritirata. Finiva l’83.

I nuovi contratti in Rai, furono da giornalista professionista, benché precaria.
Andai a Milano per un colloquio nella sede de “il Sole 24ore”, con il direttore Locatelli. Per l’assunzione avrei dovuto trasferirmi al nord. Preferii restare precaria a Roma. I contratti si rinnovavano e finivano: erano di pochi mesi. Finalmente, ottenni una sostituzione per maternità che durava un anno. Dopo altre collaborazioni, ero il terzo contratto al Tg2.
Di lì a poco, il Tg sarebbe passato dalla direzione di Zatterin a quella di Ghirelli. Antonio: anticonvenzionale, estroso, sensibile e soprattutto un uomo deciso. Con lui era arrivata aria nuova in redazione. Il mio contratto era in scadenza, si affacciavano i soliti raccomandati. Chiesi un colloquio. Lui mi fece fare una prova in video, poi mi ricevette: “Si’ na’ bella ‘guagliona’ e c’hai stoffa, vuoi condurre il Tg?” Una precaria alla conduzione del Tg?! Senza quel colpo di mano, di sicuro la storia avrebbe preso un'altra piega. La Rai fu costretta ad assumermi, era il giorno del mio onomastico: 16 luglio 1987.

Nell’estate di quello stesso anno, il 1987, cominciava la mia carriera d’inviata.
Eravamo a fine agosto, la redazione sotto organico, c’era da seguire l’operazione ‘Golfo1’: i cacciamine italiane avrebbero partecipato allo sminamento delle acque tra l’Iran e l’Iraq. Io ero al chiodo e disponibile. Per la prima volta, una giornalista Rai si affacciava su un teatro di crisi.
Cominciai a trasmettere dal Canale di Suez, narrando i luoghi e la missione fino al golfo di Aden e poi verso Muscat in Oman, dunque negli Emirati Arabi e al largo del Kuwait. Sembrava che quell’area fosse diventata improvvisamente il centro del mondo: dalla redazione continuavano a chiedermi pezzi e non se ne parlava di tornare. Avrei capito al rientro le ragioni di tanto interesse: la presenza di una giovane giornalista tra le divise  militari aveva fatto colpo. La rassegna stampa che mi avevano conservato era imponente, gli indici di ascolto del Tg si erano impennati, ero diventata un caso nazionale.

Ne scrisse anche Giorgio Bocca in un editoriale su Prima Comunicazione. Il titolo tuttavia fu “La Tv dei cretini”. Un titolo a suo modo azzeccato, perchè traduceva il suo punto di vista. Voleva essere ironico, ma era stato offensivo. Si era accanito contro di me in quanto giovane donna, senza considerarmi neanche una collega. Chiamai il giornale e minacciai querela. Bocca mi mandò un biglietto di scuse scritto di suo pugno, che però mi apparve saccente. Giudicate voi: “Mia moglie e mia figlia mi dicono che ho esagerato. Credo che abbiano ragione. Giorgio Bocca”.
Io gli risposi con una riga: “L’offesa è stata pubblica, servono pubbliche scuse. Carmen Lasorella”. Prima Comunicazione mi chiese di pazientare, sul numero successivo avrei trovato una sorpresa. Il titolo era grosso, come la firma: “ Pubbliche Scuse”. Quando ne parlai di persona con Bocca, qualche tempo più avanti, ci furono anche i sorrisi.

In quello scorcio degli anni 80, i Tg Rai e soprattutto il Tg2 incrociavano lo sguardo di giovani donne. L’accelerazione era venuta con Ghirelli. Alberto La Volpe avrebbe confermato gli spazi per le giornaliste. Nelle edizioni principali del Tg, Lorenza Foschini e Lilli Gruber, poi dal Tg3 sarebbe arrivata Mariolina Sattanino. Nello stesso periodo in onda sul Tg3 Bianca Berlinguer e sul Tg1 Tiziana Ferrario. Era un fenomeno nuovo per i media italiani, ripreso dai giornali di opinione e abusato dai rotocalchi, che creavano ad arte antagonismi e dilatavano il gossip. Erano state altre, fino ad allora, le protagoniste della Tv: presentatrici, soubrette, non firme. Fu una popolarità esagerata, che però funzionò da apripista per conquistare spazi di lavoro.

Personalmente, al Tg2 craxiano, per me che non appartenevo a quella famiglia politica, la vita fu abbastanza dura. Conducevo il Tg, ero agli esteri, come avevo sempre sognato, ma non passava giorno che non dovessi ingoiare bocconi amari e segnare il passo, mentre altri correvano in discesa. Non ero in quota, d’altra parte, come ho continuato a non esserlo, un’anomalia che ha il suo prezzo.

Sulla soglia degli anni ’90, Enrico Mentana, che aveva lasciato la Rai per lanciare la  sfida delle news sui canali di Berlusconi, mi propose di affiancarlo nella nuova avventura. Era una proposta interessante ed era ottimo il contratto, ero tentata. Avrei avuto un ruolo di prestigio, guadagnando molto di più. Con Enrico, avevo lavorato bene, decisi di parlarne con il mio direttore, Alberto La Volpe, ma chiesi un appuntamento anche al Cavaliere. L’uno, mi allettò a restare con l’impegno di maggiori spazi professionali, (finalmente avrei avuto la qualifica di inviata) l’altro si concentrò sull’offerta economica, senza darmi le risposte che cercavo sul progetto. Non ebbi dubbi. Restai al Tg2.

Cominciai a seguire le crisi nel Corno d’Africa, che avrei continuato a raccontare negli anni successivi. Ho vissuto l’epilogo della Somalia di Siad Barre, documentando la fine di quel regime durato più di vent’anni e riuscendo poi ad incontrare il dittatore in una rocambolesca intervista nel cuore della savana: l’ultima volta in tv di Siad Barre. Nel giro di poche settimane, con l’operatore Romolo Paradisi saremmo stati poi l’unica troupe televisiva sulla scena di Addis Abeba, assediata dai fronti di liberazione, testimoni con Pino Josca del Corriere della Sera, della feroce battaglia finale per la conquista del Ghebì, che distava dal nostro hotel appena qualche centinaio di metri. Seguirono l'Eritrea, Djibouti e dirimpetto lo Yemen, l’Arabia Saudita. Seguì ancora il Medio Oriente, la Siria e poi di nuovo tanta Africa, le Americhe, l’Asia. Ogni volta, dopo la cronaca, i reportage. Ho avuto il privilegio di seguire le principali crisi della fine del XX secolo e le altre cha aprivano il XXI. Sono stati anni bellissimi e intensi, con la vita dentro i fatti, nelle differenze di culture e latitudini. In sostanza mondi paralleli, ma solo in apparenza lontani, segnati da profonde cesure e abissi disumani nei contrasti a tinte forti, marcati anche dalla fatalità, eppure capaci di esprimere testimonianze straordinarie e valori umani. Chi si spinge a considerare il giornalista che arriva sulle tragedie come un avvoltoio, pronto a spolpare le notizie, sceglie la deriva, coglie la patologia di un mestiere, che invece è stato interpretato e si può continuare a interpretare nel rispetto dei fatti e nel diritto/dovere di narrarli. E conta la conoscenza del passato per provare a capire il presente, con il beneficio del dubbio su ciò che appare, mentre le immagini, con la loro forza, aggiungono responsabilità al racconto, già che non vanno abusate e possono essere distorte, quanto alle voci e alle testimonianze, esalteranno la narrazione o le faranno da contrappunto, perché espressioni indispensabili di sentimenti e di opinioni.

Nel 1995, la mia vita di inviato, anzi direi la mia stessa vita, è stata interrotta da un attentato in Somalia. E mi era stato predetto. Singolare coincidenza, l’uomo e il giornalista che ho sempre profondamente ammirato, Tiziano Terzani, pubblicava giusto nel 1995, “Un indovino mi disse”, una storia nata da una profezia, che lui aveva ascoltato. Io invece alle parole di quell’uomo vestito di scuro, incontrato a piazza Navona vent'anni prima, non avevo dato alcuna importanza. Quell'uomo, con la mia mano tra le sue, mi aveva tracciato un futuro entusiasmante, nel totale scetticismo di chi come me cedeva alla curiosità di un chiromante per la prima volta. Ma il viso di quell’uomo si era d’improvviso rabbuiato: “Appena prima di compiere i quarant’anni – aveva detto – capiterà qualcosa di tremendo nella sua vita, anzi, rischierà di perderla e altri la perderanno. Poi sarà durissima e lei rinascerà.”
A quelle parole non pensavo affatto nei lunghi momenti in cui il fuoco incrociato degli assalitori ci teneva in ostaggio dentro una Land Cruiser non lontano dall’aeroporto di Mogadiscio, il 9 febbraio del 1995, a venti giorni dal mio compleanno. Nei 38 minuti, in cui Marcello Palmisano ed io, siamo rimasti vicini, accucciati tra quelle lamiere, erano altri i pensieri. Fuori il frastuono dei colpi, all’interno il nostro silenzio per esorcizzare la paura, che si dilatava. Quando l’auto prese fuoco, raggiunta dalle schegge, rompendo il silenzio, chiamai Marcello,  perché ormai dovevamo solo precipitarci a uscire. La scoperta di un corpo inerte, nel sangue ovunque, è esplosa nel dolore fisico, nel pianto, nella disperazione.

La cronaca successiva registra il mio sequestro di alcune ore, il recupero delle spoglie di Marcello, una rischiosa corsa al porto, il riconoscimento alla morgue e a seguire le inchieste della magistratura, ma soprattutto il fuoco dei giornali italiani e le polemiche in Rai, che sembrava volessero completare il lavoro dei cecchini somali. Eppure, come aveva previsto quel chiromante nel ’74, (un ricordo che continua a turbarmi, benché non abbia mai più rivisto quell’uomo, né sia mai più andata da un indovino) le aggressioni non l’hanno avuta vinta. Poco importa che i toni si siano via via placati fino ad accordarsi in un peana – sia prima che dopo comunque fuori misura – per me conta l’aver ritrovato la voglia di andare avanti, dopo essermi guardata dentro e aver cambiato l’ordine delle mie priorità, quasi più forte di prima, di sicuro più consapevole di una vita in dono, da spendere nell’impegno civile e professionale. Cominciava una seconda fase della mia vita.

1995

1995 - Lascio il Tg2. Su RaiUno, conduco tre seconde serate a settimana. Il programma, di cui sono autrice, si intitola: “Cliché” – i luoghi comuni della società italiana. Va in onda per un’intera stagione. 54 puntate. Si aggiungono prime serate a tema.

1996

1996 - In primavera vengo nominata responsabile della Comunicazione Rai e assistente del Presidente, incarico che lascerò ad ottobre. Lavoro ad una fotografia del sistema-Rai, che andrebbe riformato. Non si tocca nulla.
In autunno torno ai reportage. Sono in Rwanda, Uganda, Tanzania, Zaire, dove realizzo “I Laghi del sangue” due puntate di approfondimento in seconda serata su RaiUno (ospiti in studio + reportage) sulla crisi dei Grandi Laghi, dopo il genocidio del 1994.

1997

1997 In gennaio sono in Medio Oriente, in particolare in Israele, in Cisgiordania, a Gaza. Uguale la formula ( studio + reportage ) titolo del programma: “Il Sogno di Abramo”. In luglio sono ad Hong Kong per raccontare ‘l’handover’, ovvero il passaggio alla Cina dell’ex-colonia britannica. La seconda puntata del reportage: “La sfida di Hon Kong” si estende anche a Taiwan e a Macao.

1998

1998 - Sono autrice e conduttrice del programma “primaDonna”, in seconda serata su RaiUno. Dodici ritratti di personalità femminili italiane e straniere e dei mondi in cui vivono e lavorano. Tra le altre, la birmana Aung San Suu Kyi, la francese Martine Aubry, la figlia di Martin Luther King, Bernice, la vice-presidente iraniana Massoumeh Ebtekar. Tra le italiane, Emma Bonino ed Emma Marcegaglia.

1999_

1999- Vengo nominata responsabile della sede di corrispondenza in Germania. Ho competenza anche sui paesi dell’est (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) e sull’Austria, dove si accende la stella di Jorg Haider. Ne parlerò oltre che nelle corrispondenze quotidiane, in un reportage per il Tg1, per il quale realizzo anche lo speciale “Il cielo sopra quel muro”, in occasione del decennale del 1989 e altri approfondimenti per “Frontiere” (Storia di un ex-criminale nazista, In viaggio sul Reno tra economia e costume, Ulrike Meinhof nel racconto di sua figlia). Resterò in Germania fino alla primavera del 2003.

1999

2000- Accetto volentieri la proposta della Regione Basilicata di studiare e realizzare a costo zero una campagna per la prevenzione delle patologie tumorali femminili “Riguarda-ti-ti riguarda”. Lo screening ha successo.

2003_

2003 - Tornata in Italia, firmo per RaiDue il programma “Visite a Domicilio.” 140 puntate in onda nella fascia meridiana ogni settimana dal lunedì 7 al venerdì. Si tratta di un’idea innovativa e low cost: portare il set sui luoghi, con una struttura snella (due troupe leggere con la conduttrice) per aprire il talk con gli ospiti non in un comodo studio, ma dove accadono i fatti. Si avvicendano personaggi, esperti, politici. Si alternano inchieste, storie, ritratti. Ogni giorno, per venti/venticinque minuti al giorno. C’è un ottimo riscontro di pubblico, ma il programma non ha il gradimento dell’Azienda: vengo chiamata a viale Mazzini. Mi oppongo alla chiusura, pago spostamenti di orario penalizzanti, alla scadenza, resto senza lavoro e con otto chili di meno. E’ il mese di giugno del 2004.

2004-7

2004-2007 - Benché presenti innumerevoli proposte e progetti e porti la questione all’attenzione dei Consiglieri Rai, non ottengo incarichi. E’ un periodo di studi, di lezioni universitarie, di convegni, di saggi, ma anche di profonda frustrazione. Il caso finisce in Parlamento con un’interpellanza firmata bipartisan dalle due Camere. Non sono un’epurata politica, ma una professionista esclusa.

2006._png

2006- Parto per il Libano in guerra. Per il programma “La storia siamo Noi”, realizzo il reportage “ L’estate dei cedri”, che Minoli commenterà con ospiti in studio.

2007

2007- Con la Regione Marche e la Confindustria di Ancona lavoro gratuitamente al progetto “Sensoriabilis” nato per sostenere il turismo accessibile, soprattutto per le disabilità. Nasce il libro “Verde e Zafferano - a voce alta per la Birmania”, un esperimento di corrispondenza virtuale, grazie al Web, che racconta in tempo reale la protesta dei monaci buddisti contro la dittatura, ripercorrendo anche il lungo incontro con la leader birmana, Suu Kyi, dieci anni dopo ancora agli arresti domiciliari.

2008

2008- Studio e realizzo la campagna per la Fidas Basilicata “Rossovita” mirata alla donazione del sangue. in Rai sono ancora senza un incarico. Minaccio le vie legali, arrivano proposte. La sola accettabile è l’incarico di Direttore Generale ed Editoriale della Tv di San Marino.

2008-2012

2008-2012 Il progetto che appresto per la tv pubblica del piccolo stato realizza il totale rinnovamento della struttura: palinsesti, studi, adeguamento tecnologico, modelli organizzativi, sviluppo web, accordi internazionali. A venti anni dalla sua fondazione, la tv sammarinese approda finalmente sul satellite e passa dal sistema analogico al digitale con propri mux sul territorio italiano a fronte di un budget rimasto sostanzialmente identico a quello del 2008. E’ un lavoro in salita, senza subire condizionamenti. Vengo accusata di aver lasciato le casse in rosso. La relazione di una società di revisori dei conti dimostra che è completamente falso. L’esperienza è finita.

2011

2011-Parto per Liberia per incontrare il Premio Nobel per la pace, Ellen Johnson Sirleaf, Presidente della repubblica africana. In quel paese, la Sierlef ha creato un modello di sviluppo socioeconomico d’avanguardia, superdando le barriere di genere e combattendo la corruzione. Al reportage seguirà un convegno alla Camera dei deputati, organizzato con Giulia Bongiorno. Il caso africani è un modello su cui riflettere.

2012

2012 Presiedo per il terzo anno consecutivo la giuria dei “Teletopi” il riconoscimento che premia le migliori Web Tv italiane.

2014

2013- ad Aprile, sono nominata dal CdA Rai, Presidente di Rai Net. Elaboro un progetto Tv+Web per l’alfabetizzazione informatica. L’indagine che ho commissionato ad un istituto di ricerca dice che quasi il 90% degli italiani lo auspica. I favorevoli sono soprattutto le donne e i giovani. Porto il progetto “Link” alla Direzione Generale della Rai, alla Confindustria digitale, alla Presidenza del Consiglio. Elaboro un promo e creo un format. Mi occupo anche di Dab, la radio digitale.

1998_

2014 - Il DG Luigi Gubitosi decide di chiudere RaiNet. Mi oppongo ad una decisione che considero assurda. La Rai e il Paese vivono un sensibile “delay”. Bisogna far crescere, non chiudere, una struttura preposta al digitale. Al posto di 9 RaiNet, una Spa interamente a capitale Rai, viene creata una divisione tecnica che risponde ad un ingegnere. “La visione digitale” si riduce ad una dimensione "tecnica", i contenuti diventano secondari. Personalmente, vengo declassata a vicedirettore: una giornalista già direttore, l’unica della struttura, alle dipendenze di un ingegnere. Smaltita la frustrazione, ricorro al giudice. Vinco.

2000

2017 - Dirigo un master alla Link University sulle migrazioni forzate, le tutele internazionali, gli “hate speech”. 2018 - La Rai che ha perso in giudizio, continua a non ottemperare alla sentenza. Le proposte di reintegro che ricevo sono un’offesa alla dignità. Non ci sono margini per proseguire un lavoro profondamente amato, durato più di trent'anni. Considero terminata la mia esperienza in Azienda: ho accumulato 477 giorni di ferie non godute, mancano quasi quattro anni alla pensione. Lascio nel settembre 2019.

2017-2018 - Verifico le condizioni per un impegno politico nella mia terra, la Lucania, dove si voterà per le regionali. Metto su una lista civica di ispirazione progressista. “LucI - Lucani Insieme”, perché bisogna tornare ad accendere le passioni e il senso civico. Mi trasferisco a casa di mia madre per qualche mese, voglio “sentire” quella realtà e capire: i sondaggi d’opinione dicono che il mio profilo è quello giusto. Incontro la marginalità, ma non la partecipazione. Non c’è volontà di cambiamento. Non è una questione di casacca, ma di paradigma. Gli interessi e le ipocrisie sono incrostati nelle pieghe del tempo. Se io mi adattassi, accettando quel sistema, sarebbe possibile. Non trovo nessun buon ragione per farlo. Lascio senza rimpianti, con profonda amarezza.

2019 - 20 -21 Nei giorni durissimi del Covid, il valore della vita e gli affetti finalmente guadagnano la “pole- position”. Mi prendo tutto lo spazio che non ho mai avuto per vivere i sentimenti. Sono accanto alla mamma, che ha superato i cento anni e soprattutto all’uomo della mia vita, con cui non sono ancora arrivata a dieci. Un matrimonio durato appena pochi mesi, che ho chiamato e che chiamerò sempre “l’Errore”, è finalmente alle spalle e così la sentenza di divorzio. Con William abbiamo una casa a San Marino, dove lui lavora. Viaggiamo di continuo, anche in moto, già che siamo entrambi motociclisti. Rifletto. Scrivo. Qualche volta, c’è la Tv, poi i convegni, gli incontri con gli studenti. C’è una vita serena. In cantiere, nuovi progetti, il volontariato, gli Amici.

mare

2023 - dal 30 giugno sarà in libreria il mio primo romanzo. Una storia di sentimenti e di diritti nell’era informatica. Mi sono divertita a scriverlo in uno spazio di libertà. Ho in programma gli incontri per promuoverlo e il dibattito sui social. Si intitola: “VERA …e gli schiavi del Terzo Millennio”. Un romanzo che fa riflettere ed emoziona. Protagonista, una donna in prima linea. A risentirci per il seguito.

firma
Scroll to Top